Incontro con:
Gennadi Nikolaevic Bogdanov
di Marcello Manuali
L'intervista è stata effettuata i 2 riprese nel corso del soggiorno
del Maestro G. N. Bogdanov a Perugia in Aprile 2004 e
a Montecastrilli (Tr) in settembre 2004
ed elaborata in ottobre 2004
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Partiamo da questa semplice parola: Biomeccanica. Che forse tanta
semplice, in effetti, non è. Riesce a farce comprendere quello che
realmente significa?
Dobbiamo,
innanzitutto, definire il concetto il professionismo nel teatro: la
coscienza nella propria arte. Il teatro è tra le arti più complesse e
difficili che si conoscano. Un uomo di teatro dovrebbe conoscere la
letteratura, le arti figurative, l’architettura, la anatomia e
fisiologia del proprio corpo-voce, le scienze naturali, la fisica, la
comunicazione; tutte conoscenze che l’attore deve praticare e applicare
nella propria professione incondizionatamente. Da questi presupposti
viene creata agli inizi del ‘900 da Vsevolod E. Mejerchol’d la
Biomeccanica Teatrale. Essa è un sistema tecnico di allenamento che
porta il performer all’auto-conoscenza e alla coscienza di sè. Si basa
su principi tecnici ben tangibili ed universali e su una pratica di
allenamento psico-fisico quotidiano. Si tratta di una base da cui
partire e non di uno stile o formalismo estetico e trova notevoli
applicazioni in differenti campi performativi.
- Non solo teatro dunque.....
Certamente!
Come per le teorie scientifiche che devono essere universali così la
Biomeccanica detta i ritmi del “Bios" scenico anche in pratiche
performative come la danza o il canto lirico, connesse con il teatro ma
distanti, stilisticamente, da questo. La Biomeccanica Teatrale è
una filosofia di vita artistica, un modus vivendi in cui l’artista vive
in un processo creativo sempre in atto. Come un pittore che è in cerca
sempre di nuovi soggetti, così l’attore è sempre in processo e
quotidianamente accende la sua macchina artistica per tenerla in
allenamento ed accrescerne le facoltà. A questo proposito ricordo il
monologo di Trigorin nel 2° atto de “Il gabbiano” di A. Cechov:
un’artista è sempre in cerca e mai appagato di ciò che sa fare o ha già
fatto.
- Mejerchol’d. Chissà quanti di noi lo hanno sentito nominare. Ma chi era, in concreto?
Vsevolod
Emil’evic era una persona fondamentalmente irrequieta. Mai appagato di
ciò a cui arrivava, cercava qualcosa che potesse imprimere negli attori
dei suoi Studi, prima, e del suo Teatro, dopo, la costante prospettiva
di apprendimento. Parte della sua vita l’ha spesa per trovare una
tecnica aperta ad ogni forma artistica, capace di insegnare ad
apprendere. Solo con l’attento studio di numerose forme teatrali
Mejerchol’d riusci a costruire quella complessa rete di informazioni
psico-fisiche che indefinitiva indirizzano il performer nella sua vita
scenica.
- Centrale, nell’idea di Biomeccanica, è la Commedia dell’Arte italiana....
Come
l’Opera di Pechino, il Kabuki, il Balletto Classico, il Circo ed altre
arti performative. Solo dalla conoscenza diretta delle tecniche si può
astrarne i principi e Mejerchol’d era un maestro per questo. La
Biomeccanica è la summa del meglio che ogni tecnica, con cui
Mejerchol’d era venuto in contatto, offriva in fatto di principi. Così
come negli anni ‘70, l’Antropologia Teatrale di Eugenio Barba ha
sistematizzato e catalogato ogni arte scenica, Mejerchol’d negli anni
‘20 le aveva già rielaborato e unite in un unico grande sistema tecnico
teatrale.
- Quando e in che modo la Biomeccanica e Mejerchol’d sono entrati in contatto con lei, nella sua vita?
In
Unione Sovietica fino al ‘55 era impensabile pronunciare solo il nome
di Mejerchol’d e dopo, nonostante la sua riabilitazione, lo si
conosceva come fatto storico. Al GITIS (l’Accademia di Stato di Mosca,
voluta e strutturata dallo stesso Mejerchol’d. N.d.A.) la Biomeccanica
non era insegnata perchè nessuno sapeva cosa fosse ed io, come tutta la
nostra generazione, ho studiato con allievi di Stanislawskij,
Vactangov, Michail Cechov. Poi nel 1972 mentre stavo lavorando nella
compagnia del Teatro Satyrico (il secondo teatro di Mosca specializzato
in teatro comico N.d.A.) arriva il nostro direttore Plu’cek Valentin e
“costringe” noi giovani a seguire tutti i giorni le lezioni di un suo
caro amico: Nikolaj Kustov, collaboratore stretto di Mejerchol’d dal
1920 al 1938. Era un vecchietto simpatico, sempre con la sigaretta in
bocca, anche durante il training. Non perdeva mai l’occasione di
riprenderci e spiegarci anche per delle ore che l’importante era
pensare a quello che facevamo e non fare finta. Ci insegnò cose che
all’inizio reputavamo strane o almeno poco utilizzabili perchè
eccessive e troppo difficili da applicare. Ho lavorato con Kustov per
quattro anni, parallelamente al mio lavoro in compagnia, seguendo
costantemente il percorso che quell’uomo con pazienza mi tracciava.
Guardando indietro reputo quel periodo il più duro e intenso della mia
vita, ma anche il più importante: ero consapevole che custodivo un
sapere raro. Alla morte di Kustov nel 1976, ho deciso di riportare in
vita Mejerchol’d e la Biomeccanica Teatrale, non più come fatto storico
ma come tecnica concreta e applicabile, non solo mia. Già alla fine
degli anni ‘70 inizi ‘80 la Biomeccanica Teatrale era tra le materie di
insegnamento al GITIS e mi altrenavo come attore e pedagogo tra il
teatro e l’accademia.
-
Sappiamo che lei è tra i fondatori del centro internazionale Studi di
Biomeccanica Teatrale, con sede a Perugia. Come si è realizzato tutto
questo?
Perugia
è l’ultimo tassello in ordine di tempo di un lento e costante percorso
di divulgazione nel mondo. Ho iniziato solo all’inizio degli anno ‘90 e
devo molto al Mime Centrum di Berlino e al suo direttore Thilo
Wittenbecher che mi ospitano ogni anno da 14 anni. Da Berlino il mio
lavoro mi ha portato a stringere rapporti stabili con Seattle,
Manchester e poi in giro per il mondo toccando tutti i continenti. Tutto
nasce dall’incontro e come può confermare il giovane coordinatore del
centro di Perugia Claudio Massimo Paternò, decidere di investire nella
Biomeccanica diventa una necessità che spesso non deriva che da scelte
puramente artistiche. Ma in Italia c’è anche un conto in sospeso:
questa terra che ospita tanta arte ha conosciuto anche una Biomeccanica
di Mejerchol’d falsa e certamente incompleta, portata da persone che
l’hanno studiata o intravista in qualche mia lezione o seminario. Con
grande sorpresa ho scoperto attori o pedagoghi russi, che in patria non
hanno mai insegnato o solanto sperimentato la Biomeccanica e la sua
pedagogia, che solo perchè sono stati in contatto con me o peggio hanno
un nome non italiano, si arrischiano ad insegnarla. Il mio percorso
pedagogico è fatto di lunghi anni di studio su i meccanismi che
regolano i principi psico-fisiologici del movimento. Ogni esercizio e
studiato per arrivare a diversi obiettivi. Fare determinati movimenti,
senza capirne il senso intrinseco equivale a copiare la forma ma non il
contenuto e questo crea enormi confusioni e la banalizzazione di questo
complesso sistema.
- Quali sono, al momento, le prospettive e i progetti del centro per i futuro prossimo?
Questo
dovreste chiederlo prima di tutto a Claudio. Abbiamo per ora stabilito,
cosa importantissima, una struttura pedagogica molto precisa, con corsi
a più livelli e temi successivi di approfondimento. Chi volesse
studiare la Biomeccanica Teatrale di Mejerchol’d, credo che non
potrebbe trovare niente di meglio adesso in giro per il mondo.
Certamente il prossimo passo e creare una continuità in una scuola di
specializzazione, come naturale proseguimento di studio dopo una
accademia di recitazione classica, in cui lo studente dopo aver appreso
i rudimente, sceglie una strada precisa.
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Lei è continuamente in viaggio, per dimostrazioni e stages, in Europa e
oltre Oceano. C’è davvero così tanto interesse per questa tecnica,
oggi? E l’Italia, come risponde?
Mejerchol’d
e la Biomeccanica Teatrale sono ora indubbiamente di moda, testimone
sono le tante imitazioni. Credo che ci siano buone prospettive visto il
notevole interesse da parte degli ambienti accademici e la curiosità
che i giovani attori di tutto il mondo hanno per me e il mio lavoro
ogni volta che concludo una dimostrazione o sessione di lavoro. Il
teatro ha bisogno di disciplina così come le altre arti la hanno. I
grandi riformatori del teatro della seconda metà del ‘900, Grotowsky,
Barba, Brook, il Living Theather, hanno creduto e credono in un lavoro
preparatorio alla recitazione, c’è chi l’ha chiamato allenamento
pre-espressivo. Tutto questo è giustissimo e Mejerchol’d lo aveva
capito fin dai primi del ‘900. La Biomeccanica Teatrale ha quasi 100
anni, in questi anni, anche durante l’oscuramento del regime sovietico,
ha continuato ad evolversi grazie a Kustov ed ora a me. In tutto questo
tempo si sono fatti notevoli passi avanti e scoperte pedagogiche che
conducono l’allievo in modo rigoroso e preciso fino a lasciarlo andare
per la propria strada ma con un bagaglio atto a trarre il meglio delle
sue potenzialità. A differenza di molte tecniche essa non è morta con
il suo fondatore o con gli allievi di questi, ma è già alla terza
generazione e la sua trasmissione non è stata garantita da libri ma
solo dalla pratica e dalla conoscenza diretta. Del teatro italiano
ammiro i grandi uomini di teatro famosi in tutto il mondo, ma del suo
sottobosco conosco poche cose. Non credo, però che sia diverso dal
resto dell’Europa e gli allievi italiani che ho avuto e che continuano
a seguirmi, mi hanno confermato che la voglia di serietà e
professionalità è un sentimento fortissimo per chi il teatro lo ha
scelto come arte e non come mestiere.
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